Riflessioni sulle parole: dignità e responsabilità
Le parole portano con sé una magia che mi affascina da sempre: le sfaccettature del loro significato. A seconda del contesto in cui vengono pronunciate, della persona che le pronuncia, della cultura e del vissuto possono assumere più significati, e molti livelli di profondità, fino a toccare il nostro essere, fino a rappresentare l’attualità.
Questi due trafiletti estratti dall’Espresso del 26 Ottobre 2018 sono un esempio di come riflettere su certe parole ci aiuti a recuperare la nostra umanità che rischiamo di perdere in mezzo al rumore della folla e della fretta.
Dignità (Rossella Postorino)
“Non avere dignità”, “perdere dignità”, “togliere dignità”: queste espressioni del linguaggio comune alludono alla dignità come un valore relativo, negoziabile, qualcosa che può essere concesso dall’esterno, qualcosa da conquistare, non un diritto che si possiede per nascita, semplicemente perché si appartiene alla specie umana.
“La specie umana” è il titolo del libro di Robert Antelme che, come “Se questo è un uomo” di Primo Levi, testimonia l’orrore Nazista e il tentativo di ogni sistema totalitario di annientare l’individuo privandolo di dignità: di una casa, dei propri abiti, della libertà, del diritto a pensare, a parlare, a essere sazio, a non avere freddo, a stabilire relazioni affettive, a non essere usato e sfruttato, soprattutto a credere di essere degno di sopravvivere, anzi di vivere.
Probabilmente oggi nessuno dichiarerebbe che certe vite siano indegne di essere vissute, ma il rifiuto di aiutare chi prova a migliorare la propria condizione, perdendo casa, radici, relazioni e rischiando persino la morte per mare, non sottintende che alcune vite siano sacrificabili? Si può tollerare che uomini e donne vengano torturati nel Lager libici e pronunciare ancora la parola dignità? I bambini reclusi in carcere con le madri detenute hanno meno dignità dei figli di chi non ha sbagliato? I poveri, i disoccupati, i malati: più che riconoscere loro dignità, questa società sembra colpevolizzarli per non averla meritata.
la dignità coincide con l’umanità stessa, scrisse Kant, perché riguarda ciò che non ha prezzo, che non può essere trattato come mezzo, ma che è un “fine a se stesso”. Non può essere concessa o tolta, ma ciò non la tutela dall’ essere calpestata. Ecco perché nessuna istituzione governativa può sottrarsi dal compito di garantirla, in qualunque ambito, e al di là di ogni compromesso, economico, finanziario o politico che sia, costruendo i presupposti materiali perché sia in grado di manifestarsi: nel lavoro, nei rapporti interpersonali, nella differenza, nello sforzo di essere felici – la più ostinata rivendicazione di umanità.”
Responsabilità (Marcello Fois)
Responsabilità. Res pondus. Il peso delle cose, dei fatti, delle decisioni. La capacità di subire le conseguenze delle proprie azioni o delle proprie affermazioni. Responsabilità è un atto metrico di onestà intellettuale: saper misurare in base al proprio peso il peso delle proprie parole. La Responsabilità è quell’esercizio ginnico interiore che permette di essere all’altezza di ciò che si pensa, di ciò che si dice, di ciò che si fa. Occorre lavorare all’efficienza della propria struttura morale in un work out incessante che migliori le proprie prestazioni. Che ci prepari ad affrontare la fatica quotidiana della democrazia, della tolleranza, del proprio credo. Fare i pesi dunque, i pesi delle cose. Considerare quanta fatica occorra per mantenere la parola data, le promesse fatte, le garanzie proclamate, i programmi proposti. E agire di conseguenza sollevando giorno dopo giorno il peso della cosa pubblica. Quando si invocano i carichi senza una preparazione adeguata si rischia di non essere in grado di sostenerli. Quando si sottovaluta la propria preparazione a sostenere pesi, o si pensa che per far ciò non sia necessaria alcuna preparazione, si fa in modo che siano altri a doverli sostenere. Responsabilità è considerare una sconfitta, un’ammissione d’impreparazione, dover modificare la realtà per riuscire a renderla sostenibile. Responsabilità è non dichiararsi Atlante quando si è Sisifo…Responsabilità è considerare che un incarico pubblico aumenta esponenzialmente del peso di tutti coloro che non te l’hanno affidato. Liberarsi di quel surplus critico come se non contasse vuol dire non essere allenati abbastanza, subire la realtà dopo essersi ciecamente illusi. Vuol dire avere un’etica talmente smilza, distonica, irresponsabile, da non riuscire a sostenere alcun peso. È irresponsabile accettare senza la giusta preparazione una responsabilità.”