Comunicazione e moda sostenibile, alcuni pensieri + annuncio finale
Oggi si parla molto di sostenibilità nel settore della moda. Bé, la situazione attuale lo richiede. Impone di fermarci e pensare al futuro. Su come lo vogliamo questo futuro. A me piace pensare che il nostro futuro potrà essere sostenibile per le generazioni che saranno a loro volta future e per il pianeta.
C’è chi dice che la sostenibilità sono le tette e i culi di internet, io dico che è qualcosa in più. Ma colgo la provocazione e ribatto. La sostenibilità viene utilizzata come uno specchietto per le allodole. Un po’ come la crema antirughe, non è così? Promette miracoli ma poi la ruga è sempre lì e non si muove. Così oggi apriamo il favoloso mondo di Internet e troviamo abiti sostenibili, scarpe sostenibili, borse sostenibili. Tutt’un tratto la moda si è svegliata e ha capito che produrre vestiti fa male all’ecosistema in cui viviamo. Ma quanto c’è di vero e quanto è marketing?
Di vero c’è una maggiore consapevolezza sia lato azienda che lato consumatore. Che poi la filiera industriale sia davvero cambiata, questo richiede un ulteriore approfondimento.
Quanto sono sostenibili i brand che dicono di essere sostenibili?
Quando su Zalando vediamo l’etichetta verde e la scritta sostenibile, cosa significa davvero? Oppure, quando su una crema leggiamo cruelty free o 100% naturale?
Penso che ci sia ancora molta confusione sull’argomento. Sostenibile vuol dire tutto e niente. Può essere sostenibile il materiale utilizzato per produrre il vestito che indosso perché riciclato, naturale, prodotto in condizioni sostenibili seguendo il ciclo regolare della natura, senza sfruttare il terreno, senza usare prodotti chimici. Può essere sostenibile la produzione del vestito, quindi il sistema produttivo che realizza l’abito perché non utilizza tinture inquinanti, riduce lo spreco dell’acqua e le emissioni di gas Serra. Può essere sostenibile la paga degli operai che cuciono il vestito. Uno stipendio equo, un contratto che tutela i loro diritti. Può succedere questo nel Fast Fashion dove un maglione costa poco più di due biglietti per il cinema?
Volevo iniziare l’articolo con la frase: il settore della moda è il secondo più inquinante al mondo. Ma poi ho fatto una ricerca per citare la fonte e mi sono trovata di fronte a una serie di articoli che confutano questa affermazione. In particolare quello della giornalista Alden Wicker che su Vox fa una riflessione sulle notizie che vengono snocciolate senza citare le fonti a proposito dell’impatto sull’ambiente del settore della moda (per chi volesse leggerlo lo trova qui, chi preferisse la spiegazione in italiano ecco l’articolo di Stella Romoli su IO Donna). In breve Alden Wicker, e prima di lei Vanessa Friedman, sostengono che è indubbio che l’industria della moda ha un impatto ambientale, ma che a oggi non siamo in grado di quantificare l’ammontare di tale impatto. Per esempio, non possiamo dire che circa il 10% delle emissioni di gas Serra mondiali siano imputabili all’industria della moda o che appunto, lo stesso settore è il secondo più inquinante al mondo. Insomma per citare il pezzo di Alden Wicker il problema si può riassumere così: “We Have No Idea How Bad Fashion Actually Is for the Environment. But it’s definitely not good” (Non abbiamo idea di quanto la moda sia dannosa per l’ambiente. Ma di sicuro non gli fa bene).
Ok, allora ben venga la sostenibilità.
Ma cosa vuol dire per il settore moda essere più sostenibile? I brand fanno a gara per parlare di sostenibilità ai consumatori e i consumatori sono sovraccarichi di notizie. Con il risultato che come in una casa stracolma diventa difficile trovare quello che si cerca.
Cosa succede lato aziende?
Il 10 dicembre 2018, sotto il patrocinio dell’ONU, è stata firmata, da quaranta attori del settore tra aziende e associazioni tessili, la Carta per la moda sostenibile. In questo documento i firmatari si impegnano a ridurre l’impatto del settore e a rendere la filiera più sostenibile attraverso 16 obiettivi, tra i quali: la decarbonizzazione nelle fasi di produzione, la scelta di materiali sostenibili, le modalità di trasporto a basse emissioni di carbonio, l’importanza di stabilire un dialogo con i clienti e di sensibilizzare i consumatori, la collaborazione con comunità finanziarie e politici con l’obiettivo di individuare soluzioni e promuovere l’economia circolare.
Recenti sviluppi: durante la pandemia, molte aziende del lusso, tra cui Gucci e Armani hanno riflettuto sull’eccesso di offerta, troppe collezioni, ritmi troppo frenetici e insostenibili. Gucci ha creato anche una sezione dedicata sul sito, Equilibrium, dove rendiconta il suo impegno etico e ambientale.
Anche lato filiera le cose stanno cambiando. I primi sono stati i cinesi stessi. Sempre imbattibili nel captare le direzioni della domanda. Così hanno iniziato a trasformare la produzione ancora prima che le aziende decidessero di trasformare la filiera. Negli ultimi anni hanno introdotto materiali riciclati e tinture naturali. Poco alla volta stanno convertendo il sistema.
Questo basta? No. Ma è comunque un segnale. Una direzione.
Alla fine la forza motrice sono i consumatori. A una domanda di consumo più responsabile, le aziende producono beni più responsabili e la filiera si adegua di conseguenza.
E, invece, lato consumatore
Il punto di riferimento per consumi più sostenibili è il movimento: Fashion Revolution. Si tratta di un’iniziativa presente in oltre 100 paesi, tra cui l’Italia, che promuove maggiore consapevolezza dei consumi tra le persone.
Ecco i 5 consigli di Fashion Revolution per i cittadini.
- Informarsi. Come in tutte le cose, anche quando si scelgono i vestiti o gli accessori è fondamentale informarsi: guardare le etichette, i siti, leggere in giro, per cercare di capire quali siano le aziende che fanno sforzi nella direzione giusta e premiarle con il proprio acquisto.
- Comprare di meno, comprare meglio. Dire addio alla fast fashion è facile: basta smettere di comprare decine e decine di capi di abbigliamento a settimana, come se una camicetta o un maglione possa essere un bene “usa e getta”.
- Comprare anche di seconda mano. Oltre che scovare oggetti particolari, curiosi e ricercati, comprare di seconda mano porta con sé tutto il fascino del dare una seconda vita a un capo di abbigliamento. Per questo sono tanti i negozi che offrono belle selezioni di capi usati da esplorare in cerca di qualcosa di davvero unico e originale.
- Comprare a KM 0. L’Italia è incredibilmente piena di piccoli designer, che lavorano in un piccolo negozio e magari vendono anche online. Realtà che spesso fanno della sostenibilità un loro punto cardine, e che non hanno per forza costi esorbitanti.
- Occhio ai tessuti. La Fashion Revolution non è solamente pensata per il rispetto di chi lavora ai capi di abbigliamento, ma anche per un sistema di produzione meno impattante sul pianeta, e quindi è importante prestare attenzione ai tessuti utilizzati.
Un movimento italianissimo è dressatechange.org anche loro si occupano di diffondere il messaggio di una moda più etica e sostenibile. Sul loro sito si possono trovare molti contenuti interessanti su come orientarsi in questo senso.
Riassumendo.
Alla fine mi viene da pensare che responsabile sia un termine più adatto di sostenibile, almeno per ora. Forse la moda non è ancora sostenibile, (o la maggior parte) ma le aziende e i consumatori possono essere più responsabili verso ciò che produco e ciò che comprano. Perché adesso lo abbiamo capito che l’economia, l’industria, la produzione, il consumo hanno un impatto sul pianeta, e su altre persone.
Per capire meglio l’impegno di un’azienda lato sostenibilità si devono guardare aspetti diversi tra loro, che si possono riassumere in cinque punti:
- tessuti naturali vs tessuti come poliestere e nylon
- impatto ambientale in consumo di acqua, emissioni di gas Serra, utilizzo tinture chimiche
- contratti dei lavoratori, stipendi equi, diritti
- utilizzo di materiali di provenienza animale
- trasparenza dei processi, carta di intenti (un documento condiviso in cui l’azienda scrive il suo impegno)
Interessante strumento per capire quanto sono green e etici i brand è l’App good on you, che stila un rating dei marchi.
Molti giovani brand puntano proprio sulla sostenibilità della loro filiera, sull’utilizzo di tessuti e tinture naturali, su produzioni locali. Con il favore di internet e un abbattimento dei costi di distribuzione, grazie all’utilizzo dei social e degli influencer per comunicare si stanno facendo conoscere. Si compra online, a volte attraverso un pre-ordine e il prodotto arriva a casa con possibilità di reso.
Per conoscerli e curiosare, per approfondire l’argomento, vi consiglio il profilo Instagram di Silvia Stella, lei è designer di tessuti, ma fa moltissima ricerca di brand sostenibili e ne conosce di bellissimi, guardate le sue story in evidenza. Poi c’è Il Vestito Verde vetrina di brand e realtà italiane di moda sostenibile fornitissima!
Ultimo, ma non ultimo
Con Claudia, la mia collega, ci siamo appassionate di moda sostenibile. Abbiamo abbiamo creato un profilo su Instagram @Be.e.creative dove raccontiamo giovani brand sostenibili, etici, responsabili. Realtà che fanno il loro lavoro con passione, che credono in una moda diversa e che, nonostante il periodo, ce la mettono tutta. L’idea di comunicare progetti etici, di promuovere un concetto di moda responsabile ci entusiasma. Venite a trovarci, seguiteci, fateci sapere cosa ne pensate. Grazie 🙂